5 maggio 2011

“Tatanka”: il gancio alle mafie



Procede in crescendo, quasi da un provincialismo che dai bassi fondi campani sembra richiamare le sensazioni nate dal già noto “Gomorra” di Matteo Garrone. La matrice è sempre la pungente penna di Roberto Saviano.
“Tatanka” di Giuseppe Gagliardi nelle sale dal 6 maggio, ha in sé il crudo senso di un riscatto. Il desiderio di un giovane immolato ad una sorte che lo vede asservito alla criminalità organizzata casertana, ancora minorenne. Michele, degnamente interpretato dal pugile Clemente Russo, cresciuto nella palestra Excelsior persegue invece un’idea, la volontà di arrivare alle Olimpiadi, maturata quasi per errore, grazie al maestro di boxe Sabatino, impersonato da Giorgio Colangeli.
Un ritratto al microscopio di sentimenti, paure e scelte di due giovani, Michele appunto, e Rosario interpretato da Carmine Recano. Due vite che sembrano proseguire quasi all’unisono. Un’amicizia che vive di patti silenti, oltre la legalità e il rispetto delle regole.
La macchina da presa del film prodotto da Margherita Film, Minerva Film con la collaborazione di Rai Cinema, indugia sui particolari, sceglie di comporre quadri neorealisti accompagnati dal dialetto casertano, sottotitolato. Un linguaggio che attraversa le nazionalità che arriva a parlare lo slang dei ganci ed il sapore del riscatto. Dall’adolescenza campana, passando per i ring clandestini di Berlino, l’iniziazione di Michele al professionismo della boxe deve conoscere anche otto anni di carcere al Santa Maria Capua Vetere.
Convince la direzione di Gagliardi, che rende credibile ed omogenea la trama ed i suoi protagonisti, senza incorrere in stereotipi già noti al pubblico del grande schermo. Il rischio di una storia già sceneggiata, con una filmografia impegnativa che ha fatto della boxe la metafora vera e propria della redenzione, non intacca le scelte narrative di “Tatanka”. 

 
Il film vuole raggiungere “il grande pubblico”, spiega il regista stesso, ma vuole comunque mantenere il profondo “realismo” dei luoghi e dei protagonisti.I volti e le facce che hanno ispirato anche le colonne sonore curate da Peppe Voltarelli, che prosegue la sua collaborazione con Gagliardi dopo Doichlandia. Da qui la scelta di alcune scene in particolare, come il matrimonio del boss Salvatore animato dalla voce dal vivo del cantante neomelodico di turno. “Mi sono accorto che anche durante le pause gli attori (tra cui anche Carmine Recano) intonavano proprio questo genere” aggiunge Gagliardi. Ma la traccia melomane con la "Maria nazionale" come l'ha definita il regista durante la presentazione milanese,  riesce a connaturare la profondità emozionale della trama.
Brutale sin dalle prima scena rotta dal fragore di alcuni spari, il film progressivamente aggiunge tasselli al verismo espressivo, voluto e motivato dal regista stesso. Un crescendo emozionale e crudo che trascina l’occhio del pubblico alla consapevolezza di una realtà spesso dimenticata.
È così che il libro da cui è tratta la storia, “La bellezza e l’inferno” di Saviano, si permea della vita di un boxeur come Clemente Russo, della passione sfuggita alla malavita ed ai ricatti della miseria. Nasce così il desiderio di raccontare realtà scomode, come quella voluta dagli sceneggiatori Braucci, Gagliardi, Gaudioso, Sansone e Sardo. Si tratta della vicenda realmente accaduta nel 1985 a Palermo, al giovane Salvatore Marino, deceduto a causa di un cruento interrogatorio della Polizia.
Immagini scomode che hanno anche procurato a Clemente Russo la sospensione per sei mesi dalla Polizia. Fotogrammi narrativi difesi dal regista perché specchio di una verità che spesso rimane oscura a molti.
Luisa Bellissimo